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01.04.2015
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RAPPORTO NOMISMA-UNAPROA: LUCI E OMBRE NEL SETTORE, LE STRATEGIE PER RIPARTIRE
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Testata : Corriere Ortofrutticolo


(Corriere Ortofrutticolo) Luci ma anche ombre nel settore ortofrutticolo italiano. La fotografia più aggiornata l'ha scattata il primo rapporto Nomisma-Unaproa, presentato ieri a Roma. Un'indagine completa, ricca di cifre e considerazioni sullo stato di salute attuale del settore ortofrutticolo nazionale. Oltre 492mila aziende dedicate, un milione di ettari coltivati e quasi 13 miliardi di valore di produzione, fanno del Belpaese uno dei leader del settore.
Eppure, si diceva delle ombre: scarsa propensione all'export, troppa burocrazia, costi poco competitivi nella logistica, capacità di aggregazione appena sufficiente. Tutti fattori che tengono al palo l'ortofrutta italiana, soprattutto se rapportata alla crescita costante dei competitors. E' tempo dunque, dopo l'analisi delle criticità, di capire quali strategie adottare per essere protagonisti sul mercato. Richiesta fatta a gran voce da Ambrogio De Ponti, presidente di Unaproa: “Un ruolo strategico devono assumerlo le Op, ma bisogna smettere di vederle come organizzazioni che trasferiscono soldi dal pubblico al privato e cominciare a considerarle delle vere imprese”. Il numero uno dell’Unione nazionale si è detto preoccupato delle cifre sullo scarso consumo di ortofrutta riportate dal Rapporto: “131 chili pro capite all'anno significa spendere per frutta e verdura un terzo di quanto facciamo per un telefonino. La scusa che l'ortofrutta è cara non regge più. Piuttosto si tratta di una cattiva abitudine sociale che ha ricadute negative anche sulla spesa sanitaria nazionale. Per questo dico che i ministeri dell’Agricoltura e della Salute debbano parlarsi di più. Spero che da questo lavoro – continua Da Ponti – possano scaturire proposte anche piccole ma concrete”.
La parola è poi passata a Denis Pantini, direttore dell'Area agroalimentare di Nomisma, che ha presentato il Rapporto nei suoi passaggi fondamentali: “I primati ci sono ancora e resistono: l'ortofrutta italiana primeggia per valore della produzione, per estensione di superficie biologica, per il numero di prodotti Igp e Dop, per numero delle Op. Qui però – sottolinea il ricercatore – incontriamo il primo importante gap: le Op in Italia sono tante ma scarsamente aggregate e rappresentano meno del 50 per cento dei produttori ortofrutticoli nazionali. Si pensi che in altre realtà come i Paesi Bassi o il Belgio, più del 90 per cento della produzione ricade sotto le sigle delle organizzazioni dei produttori. E sono proprio i Paesi meglio organizzati in tal senso a “rubarci” quote di mercato anno dopo anno”.
La “spina nel fianco” rimane la Spagna la cui concorrenza su pere, pesche, nettarine, arance e mele, è ormai assodata. E se è vero che negli ultimi dieci anni, l'export è aumentato del 50 per cento, a livello mondiale, l'ortofrutta italiana registra un calo: siamo al 3,8 per cento a fronte di un 10,3 per cento della Spagna. Per fare qualche esempio, solo l’export di mele ed agrumi nei periodi 2003-2004 e 2013-2014 ha conservato la stessa quota mondiale: rispettivamente il 10,6% e l’1,8%. L’uva da tavola è passata dal 24,0% al 15,5%, il kiwi dal 33,8% al 27,2%, le pesche nettarine dal 30,6% al 14,9%.
Altre piaghe sono il costo del lavoro agricolo, il costo chilometrico dell'autotrasporto, i giorni necessari per esportare via nave, tutti più alti in Italia che altrove. “Si pensi che dal Senegal – dice provocatoriamente Pantini – servono 10 giorni di navigazione a fronte dei 19 in Italia”. Insomma, i problemi si conoscono: è tempo di soluzioni. Secondo il responsabile Nomisma bisogna puntare su “più informazione e differenziazione che aiutino i prodotti a uscire dall'area delle semplici commodity; innovazione nel consumo, un po' come è accaduto nella quarta gamma e packaging più accattivanti”.
Nella scia delle proposte si è inserito anche l'intervento di Paolo de Castro, Coordinatore S&D Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento europeo, che ha chiesto “un'armonizzazione delle regole e delle procedure, un'attenzione particolare al mercato interno e un maggior protagonismo delle Op”, ma soprattutto ha invitato ad “andare a caccia delle cause e non dei colpevoli perché - ha sottolineato l'ex ministro – fare un buon prodotto non basta più; l'altro 50 per cento del successo dipende da come riusciamo a piazzarlo sul mercato. Ed è qui che le Op possono essere uno strumento di crescita importante. Le aziende però devono avere il coraggio di scommettere sulle organizzazioni di produzione. Per capirci meglio, mi sto occupando del Trattato Transatlantico del commercio e per gli investimenti (Ttip): non ho mai ricevuto l'elenco completo delle problematiche legate al mondo dell'ortofrutta, indispensabile per approfittare del negoziato in maniera costruttiva. Pensiamo solo al tema delle barriere tariffarie”.
Nel fare sistema ci sta credendo la regione Lazio, almeno stando alle parole di Sonia Ricci, assessore all'Agricoltura: “Se siamo diventati la terza regione italiana per produzione ortofrutticola lo si deve a un rinnovamento delle aziende e all'impegno da parte della politica, che, nel nostro caso, ha investito 220 milioni di euro in 18 mesi, tenendo conto anche della premialità, come, ad esempio, far parte o meno di una Op. In questo modo facciamo capire che lo stare assieme paga. Inoltre faremo in modo che le Op diventino garante dei fondi Psr, una misura che forse attirerà diverse critiche ma andremo avanti così”.
Sul cosa fare è intervenuto anche Felice Adinolfi, docente di Economia agraria all'università di Bologna: “Attivare un fondo di mutualizzazione, chiesto ormai da tempo e da più parti; una sempre maggiore considerazione del lavoro delle Op da parte dei fondi Psr e Ocm e più attenzione al tema della demarcazione, che va affrontato a livello nazionale”.
La chiusura degli interventi è toccata a Luca Bianchi, capo Dipartimento Mipaaf – in assenza del ministro Maurizio Martina – che ha ribadito l'importanza dell'aggregazione e dell'interprofessionalità: “Stiamo cercando di coinvolgere anche la Gdo nazionale – ha concluso Bianchi – perché faccia da ponte e da battistrada nei confronti della Grande Distribuzione all’estero, agevolando così il nostro export”.
Francesca Ciancio